TRIBUNALE DI MONZA 
                           sezione penale 
        Ordinanza di rimessione di questione di legittimita' 
 
    Il Tribunale di Monza, in composizione  monocratica,  in  persona
del giudice dott. Stefano Cavallini, all'udienza del 30 giugno  2016,
nel procedimento a carico di Stiscia Claudio, imputato «in ordine  al
reato p. e p. dall'art. 5 decreto legislativo  n.  74/2000,  perche',
nella sua qualita' di titolare della omonima ditta  individuale,  con
domicilio fiscale in Verano Brianza, via della Cooperazione n. 20/l -
partita IVA: 02185460967, al fine di evadere le imposte sui redditi e
sul valore aggiunto, non presentava  per  l'anno  d'imposta  2008  la
dichiarazione  annuale  relativa  a  dette  imposte,  pur   essendovi
obbligato,  avendo  prodotto  un  reddito  d'impresa  pari  ad   euro
1.863.617,27. IRPEF evasa euro 794.525,00 e maggior IVA  dovuta  euro
455.653,00 (imposta evasa superiore ad  euro  77.486,53).  In  Verano
Brianza, il 29 gennaio 2010» (decreto di citazione diretta a giudizio
in data 8 agosto 2014); 
    Considerato  che  nei  confronti  dell'imputato,   come   risulta
dall'avviso  di  accertamento  del  20  febbraio  2013  nonche'   dal
«dettaglio partita di ruolo» (aggiornato al 10 giugno 2016) in  atti,
risultano gia' irrogate in via definitiva - in relazione alla  stessa
annualita' (2008) ed alle medesime imposte - sanzioni  amministrative
pari, rispettivamente, ad euro 953.430,00  (quanto  all'IRPEF)  e  ad
euro 546.783,00 (quanto all'IVA); 
    Osservato che l'applicazione di tali sanzioni, entrambe  pari  al
120%  dell'imposta  evasa,  discende  dall'accertamento,   da   parte
dell'amministrazione  finanziaria,  degli   illeciti   amministrativi
tratteggiati dagli articoli 1 comma I e 5 comma I decreto legislativo
n. 471/1997; 
    Evidenziato che tali norme prevedono, partitamente, che «nei casi
di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui
redditi e  dell'imposta  regionale  sulle  attivita'  produttive,  si
applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta
per cento dell'ammontare delle imposte dovute, con un minimo di  euro
250. Se non sono dovute imposte, si applica la sanzione da euro 250 a
euro 1.000. Se la dichiarazione omessa e presentata dal  contribuente
entro il termine di presentazione  della  dichiarazione  relativa  al
periodo  d'imposta  successivo  e,  comunque,  prima  dell'inizio  di
qualunque attivita' amministrativa di accertamento di cui abbia avuto
formale  conoscenza,  si  applica  la  sanzione  amministrativa   dal
sessanta al centoventi per cento dell'ammontare delle imposte dovute,
con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, si applica  la
sanzione da euro 150 a euro 500. Le sanzioni applicabili  quando  non
sono dovute imposte possono  essere  aumentate  fino  al  doppio  nei
confronti dei soggetti obbligati alla tenuta di scritture  contabili»
(art. 1 comma I decreto legislativo n. 471/1997), e che «nel caso  di
omessa presentazione della  dichiarazione  annuale  dell'imposta  sul
valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal  centoventi
al duecentoquaranta per cento dell'ammontare del tributo  dovuto  per
il periodo d'imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto firmare
oggetto di  dichiarazione.  Per  determinare  l'imposta  dovuta  sono
computati in detrazione tutti i  versamenti  effettuati  relativi  al
periodo, il credito dell'anno  precedente  del  quale  non  e'  stato
chiesto il rimborso, nonche' le imposte detraibili  risultanti  dalle
liquidazioni regolarmente eseguite. Nel  caso  di  omessa  o  tardiva
presentazione della dichiarazione cui  sono  tenuti  i  soggetti  che
applicano i regimi speciali  di  cui  agli  articoli  74-quinquies  e
74-septies del decreto del Presidente  della  Repubblica  26  ottobre
1972, n. 633, la sanzione e' commisurata  all'ammontare  dell'imposta
dovuta nel territorio dello Stato che avrebbe dovuto formare  oggetto
di dichiarazione. La sanzione non puo' essere  comunque  inferiore  a
euro 258. Se la dichiarazione omessa e' presentata entro  il  termine
di presentazione della dichiarazione relativa  al  periodo  d'imposta
successivo e, comunque,  prima  dell'inizio  di  qualunque  attivita'
amministrativa di accertamento di cui il soggetto passivo abbia avuto
formale  conoscenza,  si  applica  la  sanzione  amministrativa   dal
sessanta al centoventi per cento dell'ammontare  del  tributo  dovuto
per il periodo d'imposta o per le  operazioni  che  avrebbero  dovuto
formare oggetto di dichiarazione, con un minimo di euro 200» (art.  5
comma I decreto legislativo n. 471/1997); 
    Preso atto che l'Agenzia delle entrate,  attesa  l'entita'  delle
somme dianzi riportate, ha provveduto alla segnalazione alla  Procura
della Repubblica di Parma, che ha poi,  a  sua  volta,  trasmesso  il
fascicolo per competenza alla Procura della Repubblica di Monza; 
    Rilevato che il pubblico ministero ha esercitato l'azione  penale
contestando  all'imputato  la  fattispecie   delittuosa   di   omessa
dichiarazione, nei termini anzidetti; 
    Ritenuti l'identita' del destinatario del precetto penale e delle
sanzioni  amministrative,  il  carattere  afflittivo   e,   pertanto,
sostanzialmente «penale» di queste ultime, in ragione del consolidato
indirizzo  della  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, nonche' la definitivita' del provvedimento  amministrativo
di irrogazione delle sanzioni, 
    Sottopone, ex  officio,  al  giudizio  di  questa  Ecc.ma.  Corte
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  649  codice  di
procedura penale - nella parte in  cui  non  prevede  un  divieto  di
secondo giudizio per l'imputato che sia  gia'  stato  giudicato,  con
provvedimento  irrevocabile,  in   relazione   al   medesimo   fatto,
nell'ambito di un procedimento amministrativo che si sia concluso con
l'irrogazione di una sanzione  di  natura  «penale»  ai  sensi  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e dei relativi Protocolli - per  contrasto  con
il divieto di bis  in  idem  contemplato  dall'art.  4  protocollo  7
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'   fondamentali,    norma    integratrice    del    parametro
costituzionale  di  cui  all'art.   117,   comma   I,   della   Carta
fondamentale. 
 
             Non manifesta infondatezza della questione 
 
    1. La questione di legittimita' costituzionale sopra delineata si
presenta   non   manifestamente   infondata   per   una   serie    di
considerazioni. 
    1.1.  Fondamentale  punto   di   partenza   nella   ricostruzione
dell'assetto normativo sovraprimario e'  dato  dalla  nota  decisione
della Corte europea dei diritti dell'uomo  Engel  e  altri  c.  Paesi
Bassi (Corte europea dei diritti dell'uomo, Grande Camera,  8  giugno
1976), nella quale il Giudice di Strasburgo isola tre  criteri  (c.d.
Engel criteria) per  sperimentare  se  una  sanzione  -  in  disparte
l'etichetta formale ad essa attribuita dal  legislatore  nazionale  -
possa  definirsi  sostanzialmente  penale.  Nel  dettaglio,   i   tre
parametri che la Corte valuta per saggiare la natura di una  sanzione
possono essere riassunti: (i) nella qualificazione giuridica  offerta
dall'ordinamento interno; (ii) nell'effettiva natura della  sanzione;
(iii) nel grado  di  severita'  dalla  stessa  veicolato.  Si  tratta
peraltro di criteri, nella lettura della Corte, tra loro alternativi,
sicche' e' sufficiente che la sanzione abbia finalita'  preventiva  o
retributiva, ovvero  sia  particolarmente  severa,  per  sancirne  la
refluenza nella materie penale. 
    Al riconoscimento della natura  sostanzialmente  criminale  della
sanzione consegue, quale immediato corollario, l'obbligo per lo Stato
di applicare lo  statuto  garantistico,  sostanziale  e  processuale,
proprio del diritto penale e garantito dalla Convenzione, quanto alla
struttura, all'oggetto ed all'accertamento della responsabilita'  del
soggetto perseguito. 
    1.2. Sulla scorta dei principi fissati  nella  sentenza  «pilota»
Engel e altri c. Paesi  Bassi,  la  giurisprudenza  convenzionale  e'
giunta in plurimi arresti, a far  data  dalla  pronuncia  Jussila  c.
Finlandia (Corte europea dei diritti  dell'uomo,  Grande  Camera,  23
novembre 2006), a riconoscere  il  carattere  «penale»  di  forme  di
sovrattasse  tributarie,  anche  a   fronte   di   importi   modesti:
emblematico, in tal senso,  il  recente  caso  Nykänen  c.  Finlandia
(Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. IV, 20  maggio  2014),  in
cui la Corte si e espressa sulla natura penale di una  multa  pari  a
1.700,00   euro,   comminata   al   ricorrente   dall'amministrazione
finanziaria nazionale. 
    Centrale    rilievo,    nell'accezione    sostanzialistica    che
contrassegna  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, assume infatti la finalita' repressiva e preventiva  della
sanzione; laddove con la stessa si imponga al contribuente  non  solo
il pagamento della somma evasa (in termini  restitutori-compensativi)
bensi'  (anche)  un  quid  pluris,  la  formale  qualificazione  come
«amministrativa» assegnata  dalla  legge  interna  non  impedisce  la
lettura di quella sanzione - che acquista, in ragione  di  tale  quid
pluris, funzione deterrente e retributiva - in termini di «pena». 
    Si tratta di principi ribaditi  ancora  piu'  recentemente  dalla
Corte europea dei diritti dell'uomo,  tanto  in  materia  tributaria,
quanto - con  precipuo  riferimento  all'ordinamento  italiano  -  in
relazione al settore degli abusi di mercato. 
    Sul primo versante, con la sentenza Lucky Dev  c.  Svezia  (Corte
europea dei diritti dell'uomo, sez. V, 27 novembre  2014),  e'  stato
ritenuto incompatibile con il divieto di bis in idem,  nella  esegesi
ad esso fornita dalla giurisprudenza convenzionale, un sistema (nella
specie, quello svedese) che - a fronte della avvenuta irrogazione  di
sovrattasse nei confronti di un contribuente (pari, in quel caso,  al
40%  ed  al  20%,   rispettivamente   ricollegate   ad   una   omessa
dichiarazione dei redditi e ad una evasione IVA) - consentiva che  lo
stesso soggetto fosse sottoposto  a  procedimento  penale:  decisione
ancor piu' rilevante, ove si consideri che l'ordinamento svedese,  al
pari di quello italiano, presidia le violazioni  tributarie  sia  con
una sanzione «amministrativa» sia con  una  sanzione  penale  e  che,
analogamente a quanto  stabilito  dall'art.  20  decreto  legislativo
74/2000  (su  cui  si  tornera'  appresso),  anche  in  quel  sistema
nazionale i due procedimenti (tributario/amministrativo da  un  lato,
penale dall'altro) sono improntati alla reciproca indipendenza. 
    Sotto il secondo profilo,  merita  senza  dubbio  richiamarsi  la
pronuncia nel caso  Grande  Stevens  c.  Italia  (Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, Grande Camera, 4 marzo 2014): in tale arresto,  la
Grande  Camera  ha  sottolineato  che  il  sistema   legislativo   (e
sanzionatorio) italiano in materia di abusi di mercato - che, al pari
degli illeciti  tributari  nella  presente  sede  rilevanti,  ammette
l'applicazione per fatti costituenti reato, anche di una congerie  di
sanzioni amministrative (irrogate, segnatamente, dalla  C.O.N.S.O.B.)
- determina  significativi  dubbi  di  compatibilita'  rispetto,  tra
l'altro, al diritto a non essere giudicati o puniti due volte per  il
medesimo fatto. 
    In tal  senso,  pietra  angolare  del  ragionamento  della  Corte
risiede, ancora una volta, nella corretta individuazione della natura
delle sanzioni - solo  formalmente  qualificate  come  amministrative
dall'ordinamento nazionale - inflitte dalla C.O.N.S.O.B.: una  natura
indubbiamente «penale», nell'ottica convenzionale,  alla  luce  della
severita'  delle  stesse,  dell'importo  in   concreto   elevato   al
trasgressore e delle ripercussioni complessive  sugli  interessi  del
condannato, che traghettano  le  sanzioni  nel  campo  della  vera  e
propria  «pena»,  con  cui  condividono   la   funzione   prettamente
repressiva. 
    Sennonche',   riqualificata    come    «penale»    la    sanzione
amministrativa,  costituisce  violazione  dell'art.   4,   prot.   7,
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali la sottoposizione dello stesso soggetto  ad  un
ulteriore processo penale e, a fortiori, l'applicazione di  una  pena
aggiuntiva, per i medesimi fatti, dopo  che  la  prima  sanzione  sia
divenuta definitiva. 
    1.3.  Decisivo   diviene   dunque,   nella   stessa   prospettiva
sovranazionale,  appurare  quando  due  «fatti»   possano   ritenersi
identici. L'orientamento ormai consolidato della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, in proposito, valorizza la coincidenza o meno  del
fatto  nella  sua  dimensione  storico-naturalistica,  a  prescindere
dunque dalla (eventuale)  diversa  qualificazione  dello  stesso  sul
terreno giuridico: tanto emerge con evidenza, nell'orientamento della
Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  a  seguito  delle  decisione
Zolotukhin c. Russia (Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  Grande
Camera,  10  febbraio  2009),  ad  avviso  della   quale   il   focus
dell'interprete  deve  orientarsi  al  fatto   nella   sua   concreta
materialita', e non gia' all'astratto  rapporto  tra  fattispecie;  a
rilevare, in altre parole, e' la condotta tenuta e  contestata  (idem
factum), non  gia'  la  sua  tipizzazione  nelle  singole  previsioni
punitive (idem legale). 
    In  ossequio  a  tali  direttrici  teoriche  si  e'  espressa  la
giurisprudenza successiva della Corte europea dei  diritti  dell'uomo
(cfr., ex aliis, la gia' citata sentenza Lucky Dev c. Svezia), che ha
ribadito la necessita' -  pena  un  indebolimento  complessivo  della
garanzia veicolata  dall'art.  4  prot.  7  della  Convenzione  -  di
prescindere dalla fattispecie astratta (legal characterisation),  per
concentrare l'analisi sul «fatto concreto». 
    1.4. La reiterazione nel tempo di tali, conformi affermazioni  di
principio, in  seno  alla  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo,  impone  al  giudice  nazionale,  che  ravvisi  un
contrasto delle disposizioni domestiche con il diritto convenzionale,
nell'interpretazione consolidata ad esso offerta dal suo Giudice,  di
sollevare questione di  legittimita'  costituzionale  per  violazione
dell'art. 117 comma I Cost., invocando l'intervento del Giudice delle
leggi per rimediare a tale vulnus. 
    Come  recentemente  statuito  dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 49/2015, infatti, spetta al giudice nazionale il  compito
irrinunciabile di interpretare il sistema di norme in cui i  principi
enucleati dalla giurisprudenza convenzionale sono  inseriti,  essendo
invero tenuto a recepire le pronunce della Corte europea dei  diritti
dell'uomo soltanto nella misura in cui  esse  esprimano  un  «diritto
consolidato» (su cui, dunque, il  giudice  interno  deve  fondare  il
proprio iter argomentativo), laddove un simile obbligo  non  sussiste
quando le sentenze della Corte, riferite al caso che lo occupa, siano
espressione  di  un  indirizzo  non   consolidato   in   serio   alla
giurisprudenza di Strasburgo. Ne consegue, per riprendere  le  parole
della pronuncia n. 49/2015, che «e' solo  un  "diritto  consolidato",
generato dalla giurisprudenza europea,  che  il  giudice  interno  e'
tenuto a porre a  fondamento  del  proprio  processo  interpretativo,
mentre nessun obbligo esiste in tal senso, a fronte di  pronunce  che
non siano espressive di un orientamento oramai divenuto definitivo». 
    Orbene, alcun dubbio in ordine al  grado  di  consolidamento  del
diritto convenzionale - in punto di  valutazione  dell'identita'  del
fatto e del carattere «penale» di una sanzione -  e'  dato  ravvisare
nel caso in esame, a fronte di plurime pronunce  di  univoco  tenore,
emesse anche dalla  Grande  Camera  ed  in  relazione  a  profili  di
incompatibilita' sollevati, in argomento, da  ricorrenti  di  diversi
Paesi Membri. 
    1.5. Non del tutto  univoca  appare,  invero,  la  giurisprudenza
sovranazionale unicamente sotto  un  diverso  profilo,  tuttavia  non
rilevante nel caso di specie. 
    Il riferimento, segnatamente, e' alla  necessita'  o  meno,  onde
ravvisare la coincidenza del  fatto,  dell'identita'  «naturalistica»
dei destinatari  della  comminatoria  «amministrativa»  (nel  sistema
tributario: il contribuente) e della sanzione penale in senso stretto
(l'imputato persona fisica); cio' che, come e' ovvio, restituisce non
marginali ricadute nell'ambito penal-tributario, ove si  ponga  mente
al fatto che spesso (ma - come si e' anticipato -  non  nel  caso  al
vaglio di questo giudice) il contribuente e' una societa', dotata  di
una propria personalita' giuridica  e  di  un'autonoma  soggettivita'
passiva di imposta, mentre della  violazione  penale  e'  chiamato  a
rispondere la persona fisica,  legale  rappresentante  di  quell'ente
(per il rispetto del divieto di un secondo  giudizio  quando  vi  sia
discrasia tra contribuente e destinatario della sanzione penale  cfr.
Pirttimaki c. Finlandia, Corte europea dei  diritti  dell'uomo,  sez.
IV, 20 maggio 2014, in particolare § 51: «The  Court  considers  that
these two sets of facts  are  different.  First  of  all,  the  legal
entities involved in these proceedings were  not  the  same:  in  the
first set of proceedings it was the applicant and in the  second  set
of proceedings the company (...). Even assuming that it had  in  fact
been the applicant who was making the tax declaration in both  cases,
the circumstances were still not the same: making a  tax  declaration
in personal taxation differs from making  a  tax  declaration  for  a
company as these declarations are made in different forms,  they  may
have been made at a different point of time and, in the case  of  the
company,   may   also   have   involved   other   persons»;   contra,
apparentemente, Kiiveri  c.  Finlandia,  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, sez. IV, 10 febbraio 2015). 
    Si  tratta  nondimeno,  come  accennato,  di  un  contrasto   non
rilevante nel caso all'esame di questo giudice, in cui  l'imputato  -
in qualita' di titolare di ditta individuale a suo nome - e' anche il
contribuente, pacificamente destinatario dunque, in quanto  tale,  di
entrambe le sanzioni («amministrative» e penali). 
    1.6.  Nel  medesimo  alveo  tracciato  dalla  giurisprudenza   di
Strasburgo, del resto, la Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,
investita di una questione pregiudiziale inerente l'applicazione  del
principio del ne  bis  in  idem  di  cui  agli  articoli  4  prot.  7
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali e 50 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea - con un quesito di diritto relativo all'ammissibilita' di un
procedimento penale nel caso di una precedente condanna fiscale per i
medesimi fatti in sede amministrativa - ha affermato  che  uno  Stato
puo' irrogare  per  uno  stesso  fatto  sanzioni  penali  e  sanzioni
amministrative, a condizione, tuttavia, che queste ultime non abbiano
natura sostanzialmente penale, con cio' facendo proprio  il  criterio
sostanzialistico  di   irrilevanza   della   qualificazione   formale
assegnata  dal  diritto  nazionale  alla   sanzione   gia'   irrogata
(Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson, Corte di giustizia  dell'Unione
europea, 26 febbraio 2013). 
    2. Cosi' compendiato il  quadro  di  riferimento  sovranazionale,
occorre ora  soffermarsi  sull'ordinamento  interno,  e  segnatamente
sulle norme rilevanti ai fini del  giudizio  di  merito  demandato  a
questo giudice, per valutarne la compatibilita' con l'art. 4 prot.  7
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, norma interposta dell'art. 117 comma I Cost. 
    2.1. In primo  luogo,  alcun  dubbio  si  profila  in  ordine  al
carattere  essenzialmente  «penale»  -  alla  luce  delle  coordinate
teoriche  piu'  sopra  tracciate  -  delle  sanzioni   amministrative
contemplate dagli articoli 1 comma I e 5 comma I decreto  legislativo
n. 471/1997, risolvendosi esse nella applicazione al contribuente  di
sovrattasse, calcolate percentualmente sull'imposta evasa  (dal  120%
al 240%),  che  accedono  alla  riscossione  delle  imposte  e  degli
interessi sulle stesse  maturati:  rilette  nella  prospettiva  degli
Engel criteria, dunque, le sanzioni,  oltre  a  distinguersi  per  la
evidente gravita' (e, quindi, per  le  significative  ricadute  sulla
sfera  patrimoniale  del  destinatario),  hanno   indubbiamente   una
funzione deterrente ed afflittiva, non gia'  meramente  restitutoria.
Ne', in senso contrario, rileva la circostanza per cui tali  sanzioni
sono  state  disposte  all'esito  di  un   procedimento   formalmente
amministrativo, atteso che - come gia' rimarcato in  precedenza  -  a
venire in rilievo, nell'interpretazione del principio del ne bis idem
delineata  dalla  giurisprudenza  di  Strasburgo,   e',   in   chiave
sostanziale, la reale natura della sanzione. 
    2.2. Identico, sotto diverso aspetto,  appare  il  fatto  storico
alla base di ambedue i procedimenti (amministrativo e penale),  nella
sua    concreta    materialita':    presupposto    delle     sanzioni
«amministrative» e della comminatoria edittale prevista  dall'art.  5
decreto legislativo n. 74/2000 e' pur sempre l'omissione dichiarativa
concernente le medesime imposte. 
    Giova peraltro osservare, in limine, che ad analoghe  conclusioni
in punto di identita' del  fatto  si  perverrebbe  agevolmente  anche
all'esito di un semplice raffronto tra le  fattispecie  astratte  che
contrassegnano gli illeciti in  parola;  fattispecie  che  invero  si
pongono in rapporto di specialita'  unilaterale,  giacche'  la  norma
incriminatrice  tratteggiata  dall'art.  5  decreto  legislativo   n.
74/2000 annovera la totalita' degli elementi strutturali che colorano
le parallele previsioni «amministrative»,  con  l'aggiunta  del  dolo
specifico di  evasione  e,  sul  piano  oggettivo,  delle  soglie  di
punibilita'. 
    2.3. Tanto, venendo ai rimedi offerti  dal  diritto  interno  per
scongiurare il rischio di duplicazione  delle  sanzioni  al  medesimo
soggetto   per   l'identico   fatto,    consentirebbe    teoricamente
l'operativita'  del  principio   declinato   dall'art.   19   decreto
legislativo n. 74/2000 nel micro-sistema penale tributario,  plastica
applicazione, a sua volta, degli articoli 15 codice penale e 9  legge
n. 689/1981: un principio, in combinazione con il meccanismo  di  cui
all'art. 21 comma II decreto legislativo n. 74/2000, che - seppur non
valevole, in quanto mutuato  da  un  criterio  differente  da  quello
individuato dalle Corti sovranazionali per descrivere l'idem  factum,
ad escludere invariabilmente la violazione del ne bis in idem  -  nel
caso di omessa dichiarazione, quale quello che  nella  presente  sede
interessa, si mostra in apparenza suscettibile di evitare  il  cumulo
sanzionatorio, mediante  l'applicazione  della  sola  norma  speciale
(dunque, come visto, della fattispecie penale in senso stretto). 
    In effetti, superato il vecchio regime normativo impostato  sulla
pregiudiziale tributaria, i rapporti  tra  i  procedimenti  penale  e
tributario sono ispirati al c.d. «doppio binario»  (art.  20  decreto
legislativo  n.   74/2000:   «il   procedimento   amministrativo   di
accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per
la pendenza del procedimento penale  avente  ad  oggetto  i  medesimi
fatti o fatti dal  cui  accertamento  comunque  dipende  la  relativa
definizione»),  laddove   la   possibilita'   per   l'amministrazione
finanziaria di irrogare le sanzioni amministrative,  in  presenza  di
notitiae criminis, e' temperata dall'impossibilita' di eseguirle, nei
confronti dei soggetti sottoposti  al  procedimento  penale,  sino  a
quando quest'ultimo non  sia  stato  definito  con  provvedimento  di
archiviazione ovvero  con  sentenza  irrevocabile  di  assoluzione  o
proscioglimento con formula escludente la rilevanza penale del  fatto
(art. 21 comma  II  decreto  legislativo  n.  74/2000):  un  congegno
normativo che, come  puntualmente  evidenziato,  mira  all'efficienza
complessiva   del   sistema,   autorizzando    l'amministrazione    a
precostituirsi un titolo che  -  ove  mancassero  i  presupposti  per
l'applicazione del  principio  di  specialita'  (nei  casi,  appunto,
elencati  dall'art.  21  comma  II,  sopra   richiamato)   -   potra'
immediatamente essere posto in esecuzione. 
    Vero  e',  per  inciso,  che,   anche   nella   sua   fisiologica
applicazione, un meccanismo cosi' calibrato non presidia del tutto il
principio  del  ne  bis   idem   nell'ottica   della   giurisprudenza
sovranazionale: valga, infatti, unicamente osservare  che,  all'esito
di una eventuale pronuncia assolutoria in sede  penale,  puo'  essere
eseguita una sanzione sostanzialmente penale, gia'  irrogata  per  la
medesima violazione. 
    2.4. Detta soluzione, ad ogni buon  conto,  non  contribuisce  in
alcun modo a garantire  il  rispetto  del  divieto  di  bis  in  idem
processuale nelle situazioni in cui - come quella al vaglio di questo
rimettente - all'imputato per omessa  dichiarazione  sia  gia'  stata
inflitta una sanzione «penale» (a valle dell'avviso  di  accertamento
amministrativo definitivo), in relazione all'evasione delle  medesime
imposte, prima ancora dell'esercizio dell'azione penale da parte  del
pubblico  ministero.  Se   infatti,   sul   piano   sostanziale,   la
duplicazione  delle  sanzioni  e',  seppur  non  senza   aspetti   di
criticita',   scongiurata   dall'operativita'   del   principio    di
specialita', nulla vieta che, dopo l'esaurimento di  un  procedimento
amministrativo, si proceda  penalmente  nei  confronti  dello  stesso
soggetto in relazione ai  medesimi  fatti:  risolvendosi  anzi  detta
eventualita', a ben  vedere,  in  una  fisiologica  declinazione  del
principio del «doppio binario» di cui all'art. 20 decreto legislativo
n. 74/2000, cui il successivo art. 21 comma II si incarica  di  porre
rimedio soltanto nel segmento finale di  effettiva  esecuzione  delle
sanzioni, onde evitarne il cumulo. Un rimedio tuttavia  che,  essendo
strutturato in termini di «sospensione», non esclude  affatto  che  -
anteriormente o  contemporaneamente  al  procedimento  penale  -  una
sanzione lato sensu penale sia formalmente irrogata  ed  acquisti  il
crisma della definitivita'. 
    2.5. A fronte di tale situazione, merita evidenziare che  l'unica
norma astrattamente predicabile di applicazione, per neutralizzare la
duplicazione dei giudizi,  e'  costituita  dall'art.  649  codice  di
procedura  penale,  che  preclude  la  possibilita'  di  un   secondo
procedimento  penale  nei  confronti   dell'imputato   prosciolto   o
condannato con sentenza o decreto  penale  divenuti  irrevocabili  in
relazione al medesimo fatto. Il tenore letterale della  disposizione,
tuttavia,  non  ne  consente   un'interpretazione   convenzionalmente
orientata,  in  virtu'  dell'inequivoco   riferimento   all'autorita'
giudiziaria  penale,  che  non  permette  di  allargarne  lo  spettro
applicativo  agli  accertamenti  di   natura   amministrativa.   Come
efficacemente rilevato dalla giurisprudenza di legittimita', infatti,
«gli strumenti preventivi  e  riparatori  che  compongono  il  quadro
sistematico all'interno del quale si colloca  la  disciplina  di  cui
all'art. 649 codice procedura penale presuppongono  tutti  la  comune
riferibilita'  dei  piu'   procedimenti   per   il   medesimo   fatto
all'autorita' giudiziaria penale: e' dunque tale quadro  sistematico,
in uno con la considerazione del tenore letterale della  disposizione
codicistica, che preclude un'interpretazione di quest'ultima  che  ne
estenda l'ambito applicativo a sanzioni irrogate  l'una  dal  giudice
penale, l'altra da un'autorita' amministrativa» (Cass. pen.  sez.  V,
ordinanza n. 1782/2015). 
    In effetti, in alcuni isolati  arresti  della  giurisprudenza  di
merito (relativi a fatti di omessa dichiarazione,  quali  quello  che
questo rimettente si trova a giudicare), si e'  ritenuta  praticabile
la via della estensione analogica dell'art. 649 codice  di  procedura
penale a  casi  in  cui,  secondo  una  interpretazione  conforme  ai
principi convenzionali, il procedimento precedentemente concluso  per
gli stessi fatti abbia natura (solo formalmente) amministrativa: cio'
sulla scorta del carattere generale del principio  sancito  dall'art.
649 codice di  procedura  penale,  in  quanto  tale  suscettibile  di
applicazione  per  analogia  a  situazioni   ivi   non   direttamente
contemplate, ma ad esso accomunate per identita' di ratio. 
    Trattasi,  tuttavia,  di  soluzione  cui  questo  rimettente  non
ritiene di dare continuita'. In  disparte  la  portata  generale  del
principio enucleato all'art.  649  codice  di  procedura  penale,  ad
ostare  al   ricorso   all'analogia,   nella   specie,   contribuisce
invariabilmente il difetto dell'ulteriore presupposto  che  fonda  la
legittimita'  di  siffatto  strumento  esegetico,  vale  a  dire   la
sussistenza di una lacuna (non intenzionale) nel  tessuto  normativo:
laddove,  al  contrario,  l'autonomia   e   l'indipendenza   tra   il
procedimento amministrativo ed il  procedimento  penale  (e,  dunque,
l'eventualita' - finanche - di un loro  contemporaneo  svolgersi)  e'
espressamente regolata dal legislatore che  invero  -  come  visto  -
eleva all'art. 20 decreto legislativo n. 74/2000 il  principio  della
separazione tra i giudizi a momento fondativo, in chiave processuale,
del «doppio binario» sanzionatorio in materia penale tributaria. 
    Di talche',  in  argomento,  non  puo'  evidentemente  ricorrersi
analogicamente al disposto dell'art. 649 codice di procedura  penale,
non essendovi alcuna lacuna da colmare, ma - in ultima analisi  -  un
vulnus al divieto di bis in idem cui  detta  norma  non  puo',  cosi'
formulata e a diritto invariato, rimediare. 
    2.6. Tanto  rilevato,  questo  rimettente  non  ignora  come,  in
concreto, il riconoscimento alla sanzione  «amministrativa»  inflitta
in via definitiva di un  carattere  preclusivo  del  giudizio  penale
rischierebbe, paradossalmente, di frustrare proprio il  principio  di
specialita' sul quale il legislatore ha improntato i rapporti tra  il
sistema amministrativo e quello penale; cio' in quanto  -  stante  la
tendenziale priorita' temporale  del  procedimento  amministrativo  -
l'irrogazione della sanzione stricto sensu penale, in relazione  alla
fattispecie astrattamente speciale (e, come tale, prevalente ai sensi
dell'art. 19 decreto legislativo n. 74/2000),  verrebbe,  nei  fatti,
pressoche' sempre paralizzata, con cio' determinando  la  sostanziale
inapplicazione della fattispecie  incriminatrice.  Detto  altrimenti:
mentre  sul  piano  sostanziale  l'ordinamento   assegna   precedenza
all'applicazione   della   fattispecie   delittuosa,   sul   versante
processuale si anteporrebbe di fatto il procedimento sfociante  nella
applicazione  della  sanzione  amministrativa,  che   finirebbe   per
impedire l'operativita' della prima, ovvero comunque  si  genererebbe
una incertezza sul tipo  di  risposta  sanzionatoria  ricollegata  al
verificarsi di determinate condotte,  sulla  scorta  della  aleatoria
circostanza del procedimento - amministrativo  o  penale  -  che  per
primo acquisti il crisma della definitivita'. 
    Vero e'  del  pari,  nondimeno,  che  un  simile  «cortocircuito»
sistematico, insuscettibile per le ragioni anzidette di risolversi in
via  interpretativa,  non  puo'  -  a  fortiori  -  tradursi  in  una
violazione di un diritto fondamentale dell'imputato, quale quello  di
non essere giudicato due volte per lo  stesso  fatto:  una  evenienza
quanto mai concreta, come testimonia la vicenda sottoposta  a  questo
giudice, cui non resta - pertanto - che rimettere la  questione  alla
Corte   costituzionale.   Se,   infatti,   spetta   naturalmente   al
legislatore, in prima battuta, stabilire gli  strumenti  piu'  idonei
per rendere il  sistema  del  «doppio  binario»  compatibile  con  il
divieto di bis in idem nell'accezione convenzionale, occorre prendere
atto  della  scelta  -  cristallizzata  da   ultimo   nell'intervento
riformatore  in  materia  penale  tributaria,  di  cui   al   decreto
legislativo n. 158/2015 - di lasciare immutato il regime  in  parola,
cosi' alimentando l'esigenza di ricercare una soluzione che non privi
di pratico significato il principio sovranazionale. 
    2.7. Questo giudice, peraltro, non sottovaluta che - recentemente
- la Corte costituzionale, con ordinanza n. 102/2016,  ha  dichiarato
inammissibile una analoga questione  di  legittimita'  dell'art.  649
codice di procedura penale (in materia di abusi di mercato) sollevata
dalla Sezione V della Suprema Corte; il dato,  tuttavia,  non  appare
dirimente  nel  presente  giudizio   per   un   duplice   ordine   di
considerazioni. 
    Da un  lato,  la  decisione  resa  con  la  richiamata  ordinanza
concerneva la legittimita' costituzionale  dell'art.  649  codice  di
procedura penale  solo  in  via  subordinata  ad  altra  questione  -
attinente  alla   norma   sanzionatoria   sostanziale   -   giudicata
inammissibile. Dall'altro, la declaratoria  di  inammissibilita',  in
parte qua, e' dipesa - in ultima analisi  -  proprio  dal  «carattere
perplesso della motivazione sulla non  manifesta  infondatezza  della
questione subordinata», avendo lo  stesso  rimettente  postulato,  «a
torto o  a  ragione,  che  l'adeguamento  dell'ordinamento  nazionale
all'art. 4 del protocollo  n.  7  alla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
dovrebbe avvenire prioritariamente attraverso una strada che egli non
puo' percorrere per difetto  di  rilevanza,  cosicche'  la  questione
subordinata  diviene  per  definizione  una  incongrua  soluzione  di
ripiego» (Corte costituzionale, ordinanza n.  102/2016,  par.  6.2.);
laddove,  nell'economia   del   giudizio   al   vaglio   dell'odierno
rimettente,  la   devoluzione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 649 codice di procedura penale, nei  termini
qui esposti, appare  l'unica  via  percorribile  per  scongiurare  la
lesione del diritto fondamentale dell'imputato a non essere giudicato
due volte per un identico fatto, secondo il principio veicolato dalla
norma convenzionale. 
 
          Rilevanza della questione nel giudizio di merito 
 
    3. Oltre a non apparire manifestamente infondata, la questione di
legittimita' costituzionale cosi' prospettata appare, infatti,  anche
rilevante nella decisione del  giudizio  di  merito,  demandato  alla
cognizione di questo Tribunale. 
    Il procedimento incardinato innanzi  al  rimettente  (decreto  di
citazione diretta a giudizio emesso  in  data  8  agosto  2014)  vede
infatti imputato di omessa dichiarazione ai fini Irpef ed IVA (art. 5
decreto legislativo n. 74/2000) relativa all'anno  di  imposta  2008,
quale  titolare  di  una  ditta  individuale,  un  soggetto  nei  cui
confronti - con avviso di accertamento del 20 febbraio 2013, rispetto
al quale non sono stati esperiti ricorsi in  sede  amministrativa  e,
dunque, definitivo (come comprovato dal «dettaglio partita di ruolo»)
- l'Agenzia delle entrate ha gia' inflitto, in relazione al  medesimo
periodo ed alle medesime imposte  evase,  sanzioni  quantificate  nel
120% degli importi dovuti. 
    Segnatamente,  l'amministrazione   finanziaria,   ravvisando   le
violazioni degli articoli 1 comma I, in materia di imposte dirette, e
5  comma  I,  in  tema  di  IVA  (violazioni   riguardanti   l'omessa
presentazione delle dichiarazioni afferenti a quelle imposte) decreto
legislativo n. 471/1997, ha irrogato  al  contribuente  una  sanzione
pari ad euro 953.430,00, con riguardo all'Irpef (essendo la  maggiore
imposta accertata pari ad euro 794.525,00), e ad euro 546.783,00, con
riguardo all'IVA (essendo la maggiore imposta accertata pari ad  euro
455.653,00). 
    Sussistente si mostra dunque la  totalita'  dei  presupposti,  in
precedenza  richiamati,  sui  quali  la  giurisprudenza  della  Corte
europea dei diritti dell'uomo edifica il divieto di doppio  giudizio:
a)  medesimo  risulta   il   fatto   alla   base   del   procedimento
amministrativo e dell'odierno procedimento penale; b) identico e'  il
destinatario delle  rispettive  sanzioni,  trattandosi  della  stessa
persona fisica,  contribuente  ed  imputato;  c)  carattere  «penale»
assumono le sanzioni gia' irrogate in via amministrativa, in  ragione
della  severita'  delle  stesse  (120%  dell'imposta   evasa),   alla
significativa  incidenza  sul  patrimonio  del  «condannato»,  ed  al
connotato deterrente e repressivo che esse riflettono; d)  definitivo
si    mostra    l'accertamento    tributario,    caratterizzato    da
irrevocabilita'. 
    Quanto a tale ultimo profilo, in particolare, giova rilevare che,
secondo  un  recente  indirizzo  gemmato  nella   giurisprudenza   di
legittimita', sarebbe «preclusa la deducibilita' della violazione del
divieto di "bis in idem" in conseguenza  della  irrogazione,  per  un
fatto corrispondente sotto il profilo storico-naturalistico a  quello
oggetto   di   sanzione   penale,   di   una   sanzione   formalmente
amministrativa,  ma  della  quale  venga   riconosciuta   la   natura
«sostanzialmente  penale»  secondo   l'interpretazione   data   dalle
decisioni emessa dalla Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  nelle
cause «Grande Stevens e altri contro Italia»  del  4  marzo  2014,  e
«Nykanen  contro  Finlandia»  del  20  maggio  2014,  quando   manchi
qualsiasi prova della definitivita' della irrogazione della  sanzione
amministrativa   medesima»,   prova   da   ritrarre   sulla    scorta
«dell'avvenuto pagamento (oltre che della  somma  di  cui  era  stato
omesso  il  versamento  all'Erario)  della  sanzione   amministrativa
irrogata dall'Amministrazione finanziaria» (Cass. pen. sez.  III,  n.
19334/2015). 
    Ora, nessuna prova  dell'avvenuto  pagamento  delle  sanzioni  da
parte   dell'imputato    effettivamente    emerge    dal    fascicolo
dibattimentale; sennonche', cio'  non  incide  sulla  rilevanza,  nel
giudizio  di  merito,  della  questione  con  la  presente  ordinanza
demandata al Giudice delle leggi, in quanto  le  coordinate  teoriche
fissate dalla Suprema Corte non risultano immediatamente  applicabili
alla vicenda al vaglio di questo giudice. A prescindere dal fatto che
detti principi sono tratteggiati in riferimento  ad  omissioni  nella
fase puramente liquidatoria del tributo (ed in  particolare  all'art.
10-bis  decreto  legislativo   n.   74/2000)   -   e   che   altro e'
l'accertamento  della  violazione  cui  accede  l'irrogazione   delle
sanzioni, altro e' invece l'esecuzione delle stesse -  a  privare  di
decisivita' la circostanza dell'avvenuto  pagamento  delle  sanzioni,
nel caso in esame, soccorre il dato normativo primario:  l'esecuzione
della sanzione «amministrativa» risultando invero sospesa in base  al
meccanismo previsto dall'art.  21  decreto  legislativo  n.  74/2000,
giacche' la stessa Agenzia delle  entrate  ha  trasmesso  la  notitia
criminis    all'Autorita'     giudiziaria,     cosi'     determinando
l'ineseguibilita'   delle   sanzioni    inflitte    nell'avviso    di
accertamento. Cio'  che  tuttavia  non  esclude,  evidentemente,  che
l'irrogazione di una sanzione sostanzialmente penale per  quei  fatti
sia intervenuta, e sia frattanto divenuta irrevocabile. 
    L'esercizio dell'azione penale  impone  in  definitiva  a  questo
giudice di  procedere  all'accertamento  della  tipicita'  dei  fatti
contestati ai sensi dell'art. 5  decreto  legislativo  n.  74/2000  e
della correlativa responsabilita' dell'imputato, non potendo  evitare
- per le ragioni anzidette - la celebrazione di un  secondo  giudizio
in base  al  tenore  dell'art.  649  codice  di  procedura  penale  e
delineandosi, dunque, i profili di incostituzionalita' sopra esposti. 
 
                 Il precetto costituzionale violato. 
 
    4.  Le  considerazioni  sin  qui  svolte  consentono  infatti  di
concludere nel senso che la norma  di  cui  all'art.  649  codice  di
procedura penale - nella parte in cui non permette l'applicazione del
divieto di secondo giudizio al  caso  in  cui  l'imputato  sia  stato
giudicato con  provvedimento  irrevocabile  per  il  medesimo  fatto,
nell'ambito  di  un  procedimento  formalmente  amministrativo,   per
l'irrogazione di una sanzione di  natura  «penale»  alla  luce  della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali  e  dei  relativi   protocolli   -   si   pone
irrimediabilmente in contrasto con l'art. 117  comma  I  Cost.,  come
risultante dall'integrazione con la  fonte  convenzionale,  di  rango
subcostituzionale, di cui all'art. 4 prot. 7 Convenzione europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    L'invocata pronuncia manipolativa, da  parte  del  Giudice  delle
leggi, si declina quale unico rimedio - de iure condito - per evitare
che il sistema del «doppio  binario»  in  materia  penale  tributaria
determini una incompatibilita' con il  divieto  di  bis  in  idem  di
matrice convenzionale, nella misura  in  cui  non  scongiura  che  un
soggetto - come nel caso che questo rimettente si trova a giudicare -
sia sottoposto ad un procedimento penale pur avendo gia' riportato in
via  definitiva,  per  il  medesimo   fatto,   una   sanzione   (solo
formalmente) amministrativa. 
    In tal senso, un intervento additivo sul disposto  dell'art.  649
codice di  procedura  penale  da  parte  della  Corte  costituzionale
rimuoverebbe gli effetti pregiudizievoli conseguenti alla  violazione
del bis in idem, precludendo la celebrazione di un processo penale in
presenza di una «condanna» in via «amministrativa» per quegli  stessi
fatti  e  con  cio'  ripristinando  la  legalita'  costituzionale   e
convenzionale.